Li pensiamo deboli, da proteggere. A volte distanti e indecifrabili. Spesso silenti, quasi invisibili. Eppure saranno loro a costruire il futuro. La difficoltà a conoscere e capire i giovani è tipica di ogni epoca, ma nella nostra lo scostamento tra generazioni appare ancora più ampio a causa delle profonde trasformazioni in corso che rendono i “nativi digitali” ancora più incomprensibili (tanto quanto lo sono le tecnologie).
In Italia i giovani tra i 15 e i 29 anni sono il 15% della popolazione. Ma chi sono? Cosa pensano? Come si rapportano al mondo del lavoro e al futuro?
Abbiamo trascorso un’intera giornata con ottanta ragazzi, tra 18 e i 29 anni, in un concorso d’idee per co-progettare “Tipo”, la piattaforma digitale dedicata a giovani e lavoro. Otto i gruppi che hanno accolto la sfida. Nelle loro parole e nei progetti emergono chiare le culture di riferimento, quelle che orientano i comportamenti e il modo di percepire la realtà. Dopo aver registrato e trascritto le loro parole, ho trattato il corpus con metodologie di analisi del contenuto e text analysis. L’algoritmo utilizzato colloca le parole entro uno spazio fattoriale (la mappa) e la successiva interpretazione dà significato alla loro relazione e al loro raggruppamento (cluster).
Una prima evidenza è che l’universo giovanile è composto da costellazioni culturali molto diverse tra loro. È sbagliato generalizzare e pensarli come un insieme indefinito. Occorre superare la logica del valore medio e accogliere la complessità di un mondo variamente articolato entro contesti ed esperienze. Sicuramente li accomuna l’abitudine alle piattaforme social, ma sono molto diversi i social network presi a riferimento.
Sull’asse orizzontale si contrappongono parole che narrano della motivazione alla relazione: dalla ricerca di affiliazione (l’essere accettato, appartenere, dipendere) alla spinta alla riuscita (successo, responsabilità, imprendere). Lungo l’asse verticale si contrappongono parole che fanno riferimento ai bisogni: da una parte la necessità di definire un’identità (chi sono), dall’altra l’esigenza di trovare un’occupazione (cosa faccio).
Emergono culture che chiedono una rete a supporto, partono dall’offerta di lavoro per capire come adeguarsi, associano al mondo del lavoro la parola “problema”. Troviamo parole come agevolazioni, fondi, bando: culture che sembrano guardare soprattutto al sostegno pubblico. Ci si sente “Fragili” e si chiede alla piattaforma di strutturare una relazione positiva un’appartenenza, attraverso cui riuscire ad affrontare le richieste del mondo del lavoro: «Una piattaforma che accompagni questa figura affinché non sia sola; non un precario che passa da un’azienda all’altra, ma uno stretto collaboratore di Tipo». O “Insicuri”, che vorrebbero entrare nel mondo del lavoro in maniera protetta: «Si candidano in maniera anonima, non ci sono informazioni su esperienze passate o qualifiche». O “Scoraggiati”, una piattaforma per chi sta cercando e non trova la soluzione: «Sempre più ragazzi decidono di abbandonare l’idea di formarsi e lavorare perché scoraggiati dalla poca considerazione che di loro ha il mondo del lavoro». Di contro, nella parte opposta, emergono culture tese al progetto. “Che tipo sei?” è la cultura giovanile che guarda con grande grande fiducia all’innovazione, anche se sente di dover ancora definire una propria identità e si aspetta che sia proprio la tecnologia ad aiutarla. «L’intelligenza artificiale consente di tracciare il profilo di una persona e capire chi è anche meglio di quanto la persona stessa si conosca e ognuno potrà fare il lavoro dei suoi sogni». “Sei il mio tipo?” è una cultura che integra giovani e aziende, dando grande valore alla relazione: «Tramite un algoritmo riusciamo a trovare un match tra le keyword del lavoro e quelle dell’utente; siamo ispirati da un lavoro e troviamo gli strumenti per farlo».
Insomma, l’analisi evidenzia un quadro complesso e articolato. Culture di attesa rispetto a ciò che il mercato potrà offrire, alla ricerca di garanzie e appoggi entro un mondo adulto deludente. Contrapposte a culture pronte a intraprendere, tese alla costruzione di una progettualità.
Con quale cultura giovanile colluderà il reddito di cittadinanza? E quale cultura lascerà fuori, non investendo in innovazione, ricerca e formazione? E quanto andrà a rafforzare la cultura dell’attesa, anziché aiutarla a contaminarsi con quella dell’intraprendere e spronarla ad evolvere? La Rete e il peer to peer aprono a possibili scambi tra modelli
e competenze. È importante mettere in contatto i ragazzi con il mondo del lavoro, ma anche tra di loro. È necessario mettere in contatto i Neet con i giovani del programma Erasmus Plus o del servizio civile. È importante favorire l’acquisizione di competenze attraverso l’esperienza vissuta e raccontata dall’altro. Superare le barriere di mondi diversi che non s’incontrano. Lavorare su progetti comuni.
È importante iniziare a pensare a nuove piattaforme dove progettare il lavoro del futuro.
Articolo Pubblicato il 10 Febbraio 2019 da Il Sole24Ore © RIPRODUZIONE RISERVATA