Negli ultimi 30 anni tutto è cambiato, anche le relazioni. C’è un’indagine che ISTAT svolge tutti gli anni, dal 1993 a oggi, su un campione di 25.000 famiglie distribuite in 800 comuni italiani di diversa ampiezza demografica, per conoscere le abitudini di vita quotidiana delle persone. Una delle domande che Istat pone agli italiani riguarda la frequenza con cui incontrano gli amici durante il tempo libero.
Ho provato a unire i puntini delle risposte fornite lungo trent’anni di vita e quello che emerge è il disegno di una curva discendente delle nostre relazioni. Nel 1993 il 28% degli italiani nel tempo libero incontrava gli amici tutti i giorni; percentuale che scende al 19% nel 2013; al 14% nel 2019; e all’11% nel 2022. Gli incontri con gli amici si diradano sempre più…
Ma il dato più allarmante riguarda i giovani e i giovanissimi. A inizio secolo, nella fascia di età tra i 15 e i 17 anni, ben il 72% incontrava gli amici tutti i giorni; percentuale che scende al 62% nel 2010; al 39% nel 2019 (pre-pandemia); e al 31% nel 2022 !
Stessa tendenza nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni: il 71% incontrava gli amici tutti i giorni nel 2003; percentuale che scende al 59% nel 2010; al 34% nel 2019 (pre-pandemia); e al 30% nel 2022 !
Molte le cose accadute tra il XX e il XXI secolo, tra cui la rivoluzione digitale, quella che probabilmente ha più trasformato le nostre esistenze. La rete Internet, infatti, ha profondamente modellato le nostre società, le nostre identità e la natura stessa delle relazioni umane.
Infatti, esplorando i dati della stessa indagine ISTAT, scopriamo un’interessante correlazione inversa tra internet e relazioni. Se nel 2005 solo il 12% degli adolescenti, tra i 15 e i 17 anni, utilizzava internet tutti i giorni, la percentuale sale costantemente fino ad arrivare a ben il 93% nel 2022. Là dove decresce la curva delle relazioni, cresce la curva d’uso della Rete internet.
Le due curve si incontrano intorno al 2011 – 2012 e a partire da quel momento accentuano l’una la crescita (l’utilizzo di internet), e l’altra la discesa (l’incontro con gli amici).
Cosa è accaduto intorno a quegli anni? Molte cose, ma la più significativa, rispetto al fenomeno che stiamo osservando, è sicuramente la diffusione dei social network, in particolare di Instagram (l’App nasce il 6 ottobre del 2010 e Facebook l’acquista il 9 aprile del 2012).
In altre parole, diminuiscono sempre più le occasioni di incontro “fisico” e aumentano le connessioni “immateriali” sulle piattaforme digitali. La costante interconnessione attraverso reti digitali e piattaforme online muta, dunque, in modo significativo il modo in cui ci relazioniamo con gli altri e percepiamo noi stessi.
Ma la qualità delle relazioni e il benessere psichico sono aumentati o diminuiti in questi anni?
Alcuni interessanti studi condotti dallo psicologo sociale Jonathan Haidt, prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo, compresa l’Europa, evidenziano aumentati tassi di depressione, ansia e autolesionismo tra gli adolescenti. Una crisi internazionale di salute mentale giovanile, che inizia proprio intorno agli anni 2010, evidente soprattutto tra le ragazze delle nazioni più individualiste e ricche. “In un mondo tecnologico in rapida trasformazione, che ha amplificato l’importanza del sé diminuendo notevolmente il tempo che i giovani trascorrono nell’interazione faccia a faccia con altre persone, la cultura dell’individualismo può esacerbare i problemi di salute mentale dei giovani.”
Nella figura che segue, i dati italiani elaborati da Rauch, Potrebny e Haidt.
Secondo Haidt, la diffusione globale del disagio tra i giovani suggerisce di considerare quei fattori comuni a tutti i paesi: il passaggio dai telefoni cellulari agli smartphone e la crescente vita sociale online su piattaforme social. Secondo l’autore, infatti, nelle interazioni virtuali mancano caratteristiche essenziali tipiche delle interazioni umane fisiche, come la sincronicità e la corporeità, cruciali per lo sviluppo fisico, sociale ed emotivo. Queste interazioni tendono ad essere più superficiali e possono portare a modalità difensive anziché esplorative. Haidt sottolinea che anche se consapevoli dei rischi associati ai social media, come Instagram, i giovani possono preferire l’apparente sicurezza della partecipazione e dell’appartenenza, piuttosto che rischiare l’esclusione sociale.
Nel 1897, Emile Durkheim pubblicò uno dei lavori fondamentali della sociologia, un libro intitolato Suicide. Nel libro spiega che i tassi di suicidio dovrebbero essere intesi come fatti sociologici a sé stanti, piuttosto che come semplici manifestazioni della psicologia individuale, dimostrando che i tassi salgono e scendono in funzione delle forze sociali che legano insieme gruppi di individui o che rendono meno probabile tale legame.
Secondo Rauch, Potrebny e Haidt, le scoperte di Durkheim offrono una chiave di lettura per aiutare a capire cosa sia accaduto alla salute mentale dei giovani nel mondo occidentale dall’inizio degli anni 2010. Quei giovani poco legati a comunità (già indebolite) del mondo reale, spostando le loro vite sociali verso caotiche reti online piene di utenti disincarnati, possono aver visto crollare il loro senso del sé, della comunità e del significato della vita. Mentre quelli più saldamente radicati alle comunità di famiglia, vicinato e religione, sembrano aver avuto una certa protezione.
Insomma, la nostra ipotesi trova conferma anche tra gli studiosi oltreoceano. C’è una evidente correlazione (non necessariamente causale, ma che va approfondita) tra la presenza online e il disagio giovanile, dove sono soprattutto le relazioni ad essere in crisi.
L’incontro con l’altro, infatti, è alla base della nostra capacità di costruire significato nel mondo e le relazioni costruiscono, via via, il tessuto della nostra esistenza. E non incontrare l’altro “fisicamente” può diminuire la possibilità di confronto reale facilitando quella confusione emozionale del vivere l’altro come una parte proiettata del sé.
Dunque, poiché le dinamiche sociali hanno un forte impatto sulle fragilità individuali, oltre a prenderci cura e a intervenire sul singolo individuo sofferente, dobbiamo pensare a nuove forme di aggregazione che ci facciano superare disagio e sfiducia.
Su questi temi sono intervenuta il 4 aprile 2024 al Convegno “Psicologia e Istituzioni: 30 anni di formazione in psicoterapia” presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica. Un’interessante occasione di dialogo e confronto, di cui ringrazio gli organizzatori, tutti i partecipanti e il prof. Francesco Mancini per l’invito.
https://youtu.be/IGa3GmTLUK8?si=uy7P5f1RpVXNczpv