Tra crisi e nuovi stati

Perché tutti vogliono fare un nuovo partito quando tale forma di rappresentanza ha ormai perso di significato?

Ha tanto l’aria di essere una questione di potere. Di vedere riconosciuta una propria leadership, di sentire la propria forza trainante. Ma per quanto tempo? Gli accadimenti degli ultimi anni ci segnalano quanto breve sia il consenso intorno al leader del momento. Del momento, appunto. Tutto si consuma in fretta. Le vecchie appartenenze e fedeltà non ci sono più.

Sarà la velocità della nostra vita digitale, sarà l’interconnessione in cui siamo immersi (difficile pensare ancora a dei confini), sarà la complessità del nostro vivere.

Il disorientamento è crescente. I cambiamenti che accompagnano la nostra epoca sono profondi e ci trovano impreparati. Noi e le nostre istituzioni. Noi e i nostri stati. 

Ma qualcosa di molto preciso sta accadendo e prendendo forma. Facebook con i suoi 2,41 miliardi di utenti attivi al mese (1,59 miliardi al giorno) si configura come il “paese” più popolato al mondo, seguono Cina e India.

Su wikipedia leggiamo che si tratta di un social media e social network a scopo commerciale, lanciato nel 2004. Ma è ancora così?

Proviamo a considerare alcune caratteristiche che contribuiscono a definire uno Stato.

Identità. Lo Stato attribuisce un’identità ai propri cittadini. Rilascia documenti di riconoscimento che consentono di definire chi si è e di attestarlo in altri stati o paesi.

Ogni utente Facebook ha un proprio profilo, attraverso cui stabilisce e rende “pubblica” la propria identità e con cui potrà essere riconosciuto su altre piattaforme o App (“accedi tramite il tuo profilo Facebook”). 

Appartenenza. Lo Stato-nazione ci fa sentire parte di un sistema. Quel condividere con gli altri valori, modi di essere, simboli e universi semantici. Per essere, così, riconosciuti e accettati.

Tutti, anche le persone più riservate, pubblicano su Facebook le loro esperienze di vita. Acquisiscono comportamenti e modi di fare, creano contenuti e ne fanno comunione con altri; si sentono parte di un mondo, di una comunità. 

Regole. Lo Stato definisce un chiaro sistema di regole a cui attenersi per garantire armonia e convivenza civile…

Potrei continuare a lungo (protezione civile in caso di terremoti; welfare per individuare intenzioni suicide), ma credo che l’ultimissima intenzione di Facebook chiarisca, più di ogni altra, le ambizioni. Facebook ha annunciato la creazione di una sua moneta digitale, la Libra. A questo punto non manca più nulla, se non il Parlamento…

Per ora pensiamo che i social servano ai politici per fare propaganda, creare consenso e orientare il voto. Stiamo spostando sempre più il funzionamento delle istituzioni sui social network. Politici che parlano attraverso tweet e post, bloccano navi, si scrivono lettere, chiedono mozioni di sfiducia. Fino a quando? Fino a quando esisteranno ancora le istituzioni parlamentari, le istituzioni governative, l’organizzazione dello Stato come lo conosciamo noi?

Nel suo libro, La quarta rivoluzione, Luciano Floridi scrive: “Tra cinquant’anni, i nostri nipoti potranno guardare a noi come all’ultima generazione storica, fondata sull’organizzazione dello stato, in modo non troppo dissimile da come noi guardiamo alle tribù amazzoniche come esempio delle ultime società preistoriche senza stato”.

La crisi dei corpi intermedi è un fatto noto. Ma quali saranno i nuovi corpi intermedi delle grandi piattaforme digitali? Chi medierà tra uno Stato accentratore e cittadini sempre più soli? Chi vigilerà?

Le tecnologie digitali consentono diffusione dell’informazione e maggiore democrazia. Per dirla con Alessandro Baricco «l’insurrezione digitale è la nostra assicurazione contro l’incubo del Novecento». Difficilmente potranno ripetersi barbarie del secolo scorso come il fascismo. Abbiamo maggiore possibilità di conoscere e di intervenire.

Ma nel nuovo Stato Facebook algoritmi attenti potrebbero chiuderci in bolle protette dove sarà sempre più difficile l’arrivo di notizie destrutturanti che possano attivare un pensiero divergente. Con i nostri dati paghiamo le “tasse” per i servizi che il nuovo Stato ci offre. Ma temo che non servano più solo a vendere nuovi prodotti e pubblicità mirate. Attraverso i nostri dati (volti, post, foto, conversazioni) il nuovo Stato conosce e conoscerà perfettamente, come nessun altro, i propri cittadini…!

Non è certo questa l’unica strada percorribile.

Trenta anni fa un signore di nome Tim Berners-Lee ha inventato il www. E cosa ha fatto? Non ha brevettato l’idea. Non si è chiesto come vendere i dati di navigazione delle pagine web alle imprese e alle agenzie di pubblicità. Ha capito la grandezza della sua invenzione e l’ha messa a disposizione dell’umanità.

Digitale non è necessariamente sinonimo di piattaforme social! (almeno così come le stiamo conoscendo e frequentando…). Possiamo progettare altro.

Foto di Roberto Cotroneo

Foto di Roberto Cotroneo