I momenti più interessanti dell’insegnare [lat. *insĭgnare, «imprimere segni (nella mente)», der. di signum«segno», col pref. in– Voc. Treccani] sono i momenti di dialogo e confronto con gli studenti.
Si comprendono molte cose, si intuiscono modelli culturali e nuove verità.
È ciò che mi è accaduto in questi giorni, durante le lezioni al Master Big Data della Sapienza.
Open, trasparente, condiviso, scalabile: le nuove parole d’ordine. Puntini da unire per far emergere la “visione” dei nuovi scienziati del dato.
Il software deve essere OPEN. Non vogliono avere “SCATOLE CHIUSE”. Vogliono poter impostare i singoli passaggi di un’analisi, comprendere e controllare i diversi passi. L’algoritmo di clusterizzazione deve essere trasparente. Deve essere impostato da loro scrivendo CODICE. Inoltre, aggiungono, nei linguaggi di programmazione e nelle “librerie” Open Source c’è una comunità attiva e disponibile pronta ad aiutarti e a risolvere i problemi che dovessero sorgere. Qualsiasi ostacolo è già stato affrontato e risolto da qualcuno prima di te; qualcuno che sarà ben lieto di suggerirti la soluzione. In ultimo, la scalabilità. Procedure che possano funzionare su volumi crescenti, senza limiti.
Tutto questo è… CULTURA DIGITALE… XXI SECOLO.
Benissimo. Ma siamo sicuri che la competenza sarà salva?
Il cambiamento in atto è profondo e irreversibile?
Foto di: Roberto Cotroneo