Uno sguardo al futuro con Roberto Cingolani

 

In dialogo con Roberto Cingolani, ripercorriamo i temi del Convegno “Data to change” del 15 gennaio 2018.

Per entrare in contatto con lei l’ho cercata sui social network – linkedin, twitter, facebook – ma nulla. Poi l’ho chiamata al telefono fisso…e lì mi ha risposto

Sono un “eremita digitale”. Mi rendo conto che è abbastanza un controsenso (come il falegname che ha i mobili rotti e il sarto che ha i pantaloni scuciti), ma proprio io che lavoro da anni nelle nanotecnologie e più di recente nella robotica, ho fatto una scelta: ho solo un’email. Non ho nemmeno whatsapp. Non so perché, ma non mi sono fidato di queste cose dal primo giorno. La mia non è una sfiducia dovuta a particolari ragioni di segretezza; ma, ad esempio, ho sempre pensato che una cosa che si puo’ banalizzare in 140 caratteri forse non e’ cosi’ importante da esser detta. Il mio metro è la meccanica quantistica: provate a spiegarla con un tweet! Non si puo’, quindi niente tweet.

Come rispondere alle sfide poste dalla trasformazione digitale?

Mia nonna, nata all’inizio del ‘900 e morta a quasi 100 anni, mi diceva: “come sono fortunata, ho visto la macchina, il telefono, la televisione, l’aereo, la lavatrice, internet..”. Lei in un secolo ha visto più di quello che hanno visto tutte le popolazioni terrestri nei 5.000 anni precedenti. Questa è una singolarità a cui stiamo tentando di adattarci. Nella tecnologia del passato il progresso era intergenerazionale, da padre a figlio, e la scuola, la società, avevano tempo di adattarsi metabolizzando l’innovazione.

Il telefono ci ha messo 40 anni a diventare una cosa comune, il web ci ha messo 4-5 anni. In una generazione fra mio figlio di 23 e mio figlio di 19 è cambiato tutto, ma la scuola è rimasta la stessa. Mio figlio di 23 anni è generazione pc, mio figlio di 19 è generazione playstation, mio figlio di 9 è generazione touch screen. Cosa hanno studiato a scuola? Le guerre puniche, come me che ho 56 anni ma che appartengo alla generazione “carta e penna”.

Il cambiamento intragenerazionale nella percezione della tecnologia è un cambiamento importante: noi dobbiamo porci questo problema anche dal punto di vista della formazione. In soli 5 anni si diventa “dinosauri” tecnologici. Nella tecnologia dei dati, ciò è pericolosissimo. Succede infatti che 4-5 “grandi player” si prendono i cervelli migliori, li chiudono in un posto bellissimo con i laghetti artificiali e le paperelle, gli danno un grande stipendio e, per i prossimi 200 anni, ci possiedono dal punto di vista dei dati.

Questo è un problema che secondo me il politico “sognatore, ma con i pedi per terra”, cui si riferiva il Sottosegretario Sandro Gozi nella sua prolusione, ha ben chiaro. È necessario che gli Stati si parlino e si dotino di una politica intelligente per gestire il dato del cittadino: per proteggerlo da un lato, ma anche per essere previsionali dall’altro.

I robot

È difficile che una macchina nei prossimi tempi possa essere totalmente autonoma come un essere umano. E’ possibile uguagliare e superare la potenza computazionale dell’uomo con una macchina, ma con costi energetici enormemente superiori a quelli del cervello umano. Se vogliamo pensare a macchine che siano veramente utili, dobbiamo iniziare a pensare che i loro codici di intelligenza artificiale e i loro dati siano in una infrastruttura cloud: una specie di global repository dell’intelligenza artificiale.

Questo cloud deve essere connesso e raggiungibile molto rapidamente. Immaginiamo di chiedere a un robot “di prenderci un bicchiere” mentre glielo indichiamo. Il robot dovra’ riconoscere il gesto di indicare, che è una intention learning molto complicata per una macchina, riconoscere il bicchiere, cosa non semplice visto che i bicchieri non sono tutti uguali (riconoscimento per funzioni), dopodichè dovra’ prenderlo e portarcelo seguendo il percorso che riterra’ piu’ rapido. Tutto questo dovra’ essere fatto in circa 1 secondo, come farebbe un essere umano. Il cloud dove risiede tutta l’intelligenza di queste macchine dovra’ quindi essere accessibile in una frazione di secondo e contemporaneamente da milioni di macchine.

Cosa faranno queste macchine? Sperabilmente ci aiuteranno: nel miglioramento della produzione (industria 4.0 e oltre) o anche come assistenti personali in casa e al lavoro. Questo produrrà una piccolissima parte dei dati che ogni giorno riverseremo nella rete….ma anche così si tratterà di masse di dati immense.

Siamo tutti produttori di dati

Quando parliamo di internet of things apriamo a uno scenario in cui ci saranno una serie di macchine, con un sistema sensoriale simile al nostro (visivo, uditivo e tattile), che scaricheranno una enorme quantità di dati in qualche gigantesco dispositivo (si presuppone protetto); dati che andranno interpretati e processati per decidere delle azioni conseguenti, ma non in mezz’ora, in 0.1 – 0.2 secondi.

Immaginate cosa vuol dire insegnare a un robot a vedere un oggetto. Se il robot ha la vista come un telefonino, dopo 10 min che osserva e accumula immagini (frames) la sua memoria satura e diventa lentissimo. Occorre quindi sviluppare delle tecnologie per far vedere in tempo reale al robot le cose che si muovono senza necessita’ di memorizzare costantemente lo sfondo che rimane sempre lo stesso. In altre parole occorre sviluppare una visione “neuromorfa”, come quella umana. Questa e’ una delle tante sfide tecnologiche che mirano a ridurre la massa di dati necessari senza perdere informazioni, e comprensibilmente e’ ispirata a soluzioni che l’evoluzione ha gia’ sperimentato e sviluppato sull’uomo.

Ma vediamo un altro esempio. Avete mai contato le cose che conoscete? ogni essere umano conosce milioni di oggetti. Per definizione qualunque contenitore vagamente cilindrico in grado di contenere un liquido e’ associato al concetto di bicchiere. Equivale quindi ad una sola informazione o un solo concetto, indipendentemente dalla forma specifica. D’altro canto pero’, distinguiamo il flute con lo stelo o il bicchiere di birra col manico come varianti di uno stesso oggetto classificato per funzione: il bicchiere.

Il robot non funziona così. Se gli insegniamo cosa e’ un bicchiere dobbiamo fargli vedere tutte le varianti. Insegnare ad una macchina, che lavora per riconoscimento d’immagine, i milioni di oggetti che noi conosciamo e classifichiamo per funzione e invece che per forma, è un problema tecnologico complesso.

Abbiamo fatto degli esperimenti in cui facendo vedere al robot 25 oggetti per un decimo di secondo, lui sbaglia nel 30% dei casi il riconoscimento. Se invece glieli facciamo osservare per alcuni secondi ciascuno l’errore nel riconoscimento scende sotto al 10%. Ma se facessimo vedere milioni di oggetti con tutte le loro forme diverse (come quelli che conosciamo noi) , il robot necessiterebbe di un tempo praticamente infinito per imparare. Quindi o l’ intelligenza del robot diventa simile alla nostra (e la macchina impara a ragionare per funzione) oppure dovremo accontentarci di macchine piuttosto limitate e certamente non molto autonome. Insomma, la nostra intelligenza naturale è ancora molto più sofisticata ed evoluta di quella artificiale.

Dove sarà il dato? Quali livelli di sicurezza abbiamo? A quali livelli le diverse istituzioni potranno accedere al dato?

Un essere umano ha un genoma, che consiste in 3 miliardi di coppie di basi, equivalenti a circa 200 miliardi di atomi. La sequenza delle basi. Il codice genetico, rappresenta il software della vita. Oggi con mille dollari si puo’ conoscere il genoma di un individuo.

Allora supponiamo di essere in un paese avanzato del futuro: ogni cittadino avra’ il suo genoma misurato dalla nascita, che richiedera’ un centinaio di gigabyte, quindi l’equivalente della memoria un paio di moderni Tablet. Ovviamente nel tempo le cose cambiano: l’ambiente, l’alimentazione, lo stile di vita, potrebbero indurre delle mutazioni negli anni. Inoltre ci saranno tutti i dati clinici che dovranno essere registrati. Assumiamo che questo necessiti della memoria di un altro paio di Tablet per ogni cittadino. In un paese di 60 milioni di abitanti, l’osservazione e la registrazione costante di tutti i dati genetici, clinici e di stile di vita di tutti i cittadini implicherebbe masse di date enormi, dell’ordine degli exabyte. Contemporaneamente l’analisi di questi dati per estrarre informazioni   e fare previsioni sanitarie individuali necessiterebbe di high performance computing con macchine potentissime (exaflops). Servirebbero inoltre nuovi algoritmi e motori di ricerca.

La scienza dei dati giochera’ un ruolo importantissimo nel futuro: dal sistema fiscale a quello sanitario. Si potranno per esempio mettere in relazione le spese farmaceutiche con l’incidenza di certe malattie, per verificarne l’impatto a livello locale e nazionale. E si potra’ correlare il profilo genomico di ciascun cittadino con la sua alimentazione, lo stile di vita etc, arrivando a prevedere con buona precisione la probabilita’ di contrarre determinate malattie. Ovvio che questa potenzialita’ richiedera’ un grande sforzo a tutela della privacy del cittadino (a titolo di esempio se si chiedesse un mutuo la banca non dovrebbe avere accesso a queste informazioni perché la decisione potrebbe essere influenzata dalle previsioni sullo stato di salute del richiedente). E’ su questo che lo Stato deve intervenire perchè lo Stato deve difendere il cittadino ed e’ necessario uno grande sforzo regolatorio. Il dato deve essere accessibile, ma ci vuole un chiaro assetto etico e legale.

Il futuro

La sfida per il futuro è capire se le macchine avranno davvero capacità di decidere. I sistemi normativi che conosciamo affrontano il problema di dover punire o sanzionare chi viola una regola assumendo comunque che si tratti di una persona “biologica” capace di intendere e di volere.

Ma in futuro potrebbe esserci un’evoluzione di questo concetto: “Che succede se chi viola una regola e’ una macchina intelligente capace di intendere e di volere?”

A mio parere, la risposta va trovata condividendo il percorso con gli umanisti, gli etici, i filosofi, recuperando quella multidisciplinarita’ necessaria ad affrontare i grandi cambiamenti e le grandi sfide del pensiero umano.

Per certi versi mi piace anche rivalutare la “stupidità umana” , quel mix di irrazionalita’, creativita’, sentimento e sogni che ci fa essere alle volte capaci di gesti irrazionali e scelte di cuore, profondamente creativi e in armonia con l’universo. Tecnologicamente finche’ investiamo sull’intelligenza, umana o artificiale, mi sento tranquillo. Sarei invece molto preoccupato se qualcuno decidesse di sviluppare la “stupidità artificiale”… quella sarebbe la cosa più pericolosa e deleteria per la specie umana.

 

Articolo pubblicato il 5 febbraio 2018 nell’inserto FOR del quotidiano ©IlFoglio

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Roberto Cingolani è un fisico italiano, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova e padre ispiratore dello Human Technopole di Milano, il centro di ricerca dell’area Expo che raggrupperà 1500 studiosi delle “scienze della vita”.

Il Convegno “Data to change” è stato ideato e organizzato dall’Associazione InnovaFiducia in collaborazone con il Dipartimento Politiche Europee della Presidenza del Consiglio.