“I dati ci raccontano storie di individui in rapporto a contesti sociali”. Alla sua nascita, sei mesi fa, ho sottotitolato così il mio blog “Human Data”.
Ma ora, dopo aver letto il nuovo libro del sociologo francese Dominique Cardon, un dubbio mi assale. Ha ancora senso parlare di contesti sociali in un’epoca caratterizzata dalla continua modellizzazione di comportamenti individuali? Quali nuovi contesti di riferimento stanno creando gli algoritmi?
Dominique Cardon, nel suo nuovo libro “Che cosa sognano gli algoritmi”, ci dona un’interessante chiave di lettura dei propositi e delle potenziali conseguenze delle classificazioni dell’informazione digitale. In particolare, individua quattro valori (popolarità, autorevolezza, reputazione e predizione) e quattro conseguenti modi di produrre visibilità servendosi dei calcoli:
- le visioni (clic) degli internauti producono popolarità (es.: audience, Google Analytics),
- le citazioni ipertestuali (link) producono autorevolezza (es.: PageRank di Google),
- gli scambi tra cerchie affini (like) producono reputazione (es.: n. amici su FB, Retweet),
- le tracce dei comportamenti producono predizioni personalizzate (es.: Amazon).
Gli algoritmi, sorvegliando ciò che ognuno di noi fa, codificano il mondo, lo classificano e predicono il nostro futuro.
Per anni abbiamo ricondotto gli individui a variabili socio-demografiche (età, genere, titolo di studio, occupazione, reddito…) e a segmentazioni di stili di vita, valori e consumi (molte delle scelte condotte dagli operatori del marketing e della comunicazione sono state ispirate dalle mappe sugli stili di vita).
Ora i comportamenti individuali sono costantemente registrati, diventano dati e vengono analizzati e raggruppati dagli algoritmi. La società viene costruita dal basso, partendo dalle azioni degli individui. Saltano le appartenenze. Saltano le categorie stabili.
“Alle variabili stabili, perenni e strutturanti, che fissavano gli oggetti statistici in determinate categorie, gli algoritmi digitali preferiscono catturare gli eventi (un clic, un acquisto, un’interazione ecc.) che registrano al volo, per confrontarli con altri eventi, senza dover procedere a una categorizzazione.” (Dominique Cardon)
Il messaggio pubblicitario, ad esempio, non è più differenziato per tipologia di target, ma è disegnato sul singolo fruitore rispetto al momento in cui vedrà il messaggio, al luogo dove sarà, alle condizioni metereologiche in cui si troverà e ai siti web che avrà visitato prima di guardare quella pubblicità.
Probabilmente accadrà la stessa cosa anche per le notizie. Prima la “narrazione” era offerta dalle redazioni dei quotidiani e dei telegiornali che selezionavano le notizie, ne stabilivano la successione, gli spazi, la rilevanza, il tono di voce complessivo. Ora è il lettore a incontrare direttamente le singole notizie in rete, a costruire la propria narrazione, a dare spazio ai commenti degli altri lettori (all’interno delle bolle delle piattaforme scelte). In un domani, molto prossimo, gli algoritmi potranno proporre notizie e scrivere articoli disegnandoli direttamente su chi li leggerà (in base ai precedenti comportamenti di lettura, al momento di friuzione, ecc.).
L’algoritmo confida nella regolarità delle strutture di gusti e interessi degli utenti per rendere prevedibili gli abbinamenti tra i prodotti raccomandati.
Gli algoritmi ci guidano e ci propongono il cammino “migliore” per noi.
Ma, dice Dominique Cardon, “non sappiamo più identificare bene cosa rappresenti rispetto agli altri tragitti possibili, alle strade alternative e poco frequentate, al modo in cui la carta costituisce un insieme. Non torneremo ai viaggi di gruppo e alla loro guida onnisciente. Ciononostante, dobbiamo diffidare della guida automatica. Quello che possiamo fare è comprenderla e sottoporre coloro che la concepiscono a una critica vigilante. Insomma, dobbiamo chiedere agli algoritmi di mostrarci, sì, la strada, ma di farci vedere anche il paesaggio”.
Foto: Roberto Cotroneo