– Il nostro ritardo digitale coinvolge anche i giovani.
Li chiamiamo “nativi digitali”. Sono i giovani cresciuti contemporaneamente alla diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione e in Italia sono sicuramente più “digitali” rispetto ai loro genitori e ai loro nonni.
Ma se confrontiamo i giovani italiani con i loro coetanei europei…siamo digitalmente indietro anche con i “nativi”.
Ad esempio, i giovani italiani tra i 16 e i 29 anni risultano ultimi in Europa (insieme alla Francia) nell’uso dei tanto “modaioli” social network (Fonte: Eurostat)
Sono molto avanti rispetto al resto della popolazione italiana (72% vs 38%), ma ultimi rispetto agli altri giovani europei. (Fonte: Eurostat)
Il divario poi aumenta notevolmente analizzando le percentuali di giovani che si informano e leggono le notizie online (giovani italiani 46%, giovani francesi 53%, giovani tedeschi 70%, media UE 66%) (Fonte: Eurostat)
O dei giovani italiani che negli ultimi dodici mesi hanno interagito con autorità pubbliche (giovani italiani 25%, giovani tedeschi 54%, giovani francesi 70%, media UE 49%) (Fonte: Eurostat)
La posizione in classifica dei giovani italiani migliora solo rispetto all’esprimere opinioni in rete su questioni di natura civica o politica. (Fonte: Eurostat)
La necessità di sviluppare competenze e culture digitali nel nostro Paese non riguarda dunque soltanto la fascia di popolazione “matura” e lontana dalle tecnologie, ma anche e soprattutto i giovani che affrontano, e affronteranno, un mercato del lavoro sempre più competitivo e digitale.
Sempre l’Eurostat ci segnala i nostri dati, molto negativi, sulla disoccupazione giovanile (Italia 42,7%, Francia 24,2%, Germania 12,6%, media EU 20,6%); sui giovani a rischio esclusione (Italia 34,4%, Francia 25,1%, Germania 24%, media EU 29%); e sull’elevata percentuale di “NEET” [giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività formative] (Italia 26,2%, Francia 13,5%, Germania 8,7%, media EU 15,3%). (Eurostat Anno di riferimento: 2014)
– Chi sono i NEET?
In Italia più di un 1 giovane su 4 non studia, non lavora e non è impegnato in attività formative.
I cosiddetti NEET, nella fascia d’età tra i 20 e i 24 anni, nel nostro Paese rappresentano addirittura il 31,1% dei giovani.
Purtroppo, in questa fascia d’età, siamo diventati i primi in Europa per numero di NEET: triste primato. La media EU è al 17.3%. Meglio di noi Grecia (26.1%), Croazia (24.2%) e Romania (24.1%)… fino ad arrivare all’Olanda con solo il 7.2%.
Rispetto agli altri paesi europei, i nostri NEET si caratterizzano per l’alto numero di “scoraggiati” (14.1% contro il 5.9% della media UE) e di “disoccupati di lunga durata” (26.3% rispetto a 23.1% della media UE). (Fonte: Eurostat)
Inoltre, in Italia emergono alcune evidenti differenze di genere. Il 23,9% dei NEET femminili appartengono a questo gruppo a causa di “responsabilità familiari”, mentre il 31,4% di tutti i NEET maschi appartengono ai “disoccupati di lunga durata” (12 mesi o più). (Fonte: Eurostat)
Il rischio di diventare NEET correla con l’età (aumenta all’aumentare dell’età), con il titolo di studio (i giovani con istruzione secondaria o terziaria presentano un rischio significativamente più basso rispetto a quelli con istruzione primaria) e con il genere (le giovani donne hanno maggiori probabilità di diventare NEET).
I risultati di analisi statistiche avanzate confermano un maggior rischio di esclusione sociale per i giovani che appartengono al gruppo NEET. La quota di popolazione a rischio di esclusione sociale è al 38% tra i NEET rispetto a solo il 18% tra i non NEET. La condizione di NEET dovuta a “responsabilità familiari” è soggetta al più alto rischio di esclusione sociale.
– Net o NEET?
Ma qual è il rapporto di questi giovani con l’innovazione digitale? Quali competenze digitali hanno? Quali competenze potrebbero sviluppare per trovare un nuovo spazio sul mercato del lavoro? Quali nuove opportunità?
Le statistiche ufficiali non ci offrono informazioni dirette sulla presenza o meno di competenze digitali tra i NEET.
Rispetto al dato geografico, sappiamo dai dati ISTAT che in Italia la Sicilia e la Campania registrano le quote più elevate di NEET, seguite da Calabria e Puglia:
Non abbiamo tavole di contingenza tra competenze digitali e NEET.
Sappiamo però che i non occupati tra i 19 e i 34 anni presentano una percentuale maggiore di non uso di internet rispetto agli occupati o agli studenti (“inabile al lavoro” 60,8%, “casalinga” 39,2%, “altra condizione” 23,5%, “in cerca di prima occupazione” 10,2%, “in cerca di nuova occupazione” 10,1%, vs “occupato” 7,2% e “studente” 2,2%); i giovani tra i 19 e i 34 anni con un titolo di studio basso (fino alla licenza media) presentano una percentuale maggiore di non uso di internet rispetto a chi possiede dal diploma in poi (23,6% contro il 4,1%); le regioni del Sud d’Italia presentano tassi di non uso della rete internet maggiori rispetto al Centro-nord (Campania 16,5%, Sicilia 15,2% vs Friuli Venezia Giulia 4%, Bolzano 2,4%).
Possiamo quindi ipotizzare una forte carenza di competenze e culture digitali tra i NEET che rende ancora più difficile una loro collocazione sul mercato del lavoro.
Se guardiamo alle motivazioni di non uso di internet dichiarate dai giovani tra i 19 e i 34 anni (Elaborazione Istat e Fondazione Bordoni), troviamo:
- non mi piace/non mi interessa (26,7%),
- non dispongo di alcuno strumento per connettermi (24,7%),
- non mi serve/non mi è utile (23,3%),
- non so utilizzare internet/è troppo complicato (19,5%),
- il costo degli strumenti necessari è troppo alto (19,3%),
- il costo del collegamento è troppo alto (15,9%),
- non conosco internet/non so cosa sia (9,4%).
E l’uso/non uso di internet correla con la presenza di interessi e attività socio-culturali: chi utilizza internet frequenta maggiomente il cinema e le discoteche, legge più libri e quotidiani, rispetto a chi non utilizza la rete (Elaborazione Istat e Fondazione Bordoni).
I NEET rappresentano quella parte di popolazione giovanile inattiva, fuori dai percorsi formativi e che non riesce a entrare nel mondo del lavoro. Rimanere anche fuori dall’innovazione digitale li rende ad altissimo rischio di esclusione sociale e aumenta la probabilità di trasformarli nel tempo in disoccupazione strutturale.