Io e le macchine

Capita a volte di ricevere un regalo che non ti aspetti.

Sembra il titolo di uno degli ultimi romanzi del giornalista e scrittore viennese Daniel Glattauer, ma è ciò che è accaduto a me quando un’amica per la festa dei primi dieci anni di Culture (la società di consulenza che ho fondato nel 2008) mi ha regalato l’edizione originale di uno dei numeri di “I racconti di Genius”, supplemento a Genius, il mesile dell’Espresso del 1984.

Il lbretto in questione, il numero 6, è a firma dello psicoanalista Cesare Musatti, celebre esploratore dell’animo umano e, per alcuni anni, direttore dell’Istituto di psicologia del lavoro nell’azienda di Adriano Olivetti a Ivrea, laboratorio industriale e culturale dell’Italia del dopoguerra. Si tratta di un breve racconto autobiografico in cui lo psicoanalista, ormai ottantenne, ripercorre con riflessioni e aneddoti il suo rapporto con le macchine.

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Amica attenta, la mia. Nel racconto ci sono tutti gli ingredienti della mia identità: la psicoanalisi, l’innovazione, il lavoro in azienda.

La narrazione parte dall’infanzia di Musatti e dal suo ricordo del “giovane di studio”, tal Leandro, l’aiutante sessantenne che nello studio d’avvocato del papà maneggiava il copia-lettere.

Maestoso, poggiato su un supporto, c’era questo aggeggio, munito di un manico a guisa di torchio, che si faceva girare abbassando un piano mettallico. Fra questo e la base veniva collocato un librone fatto di pagine sottilissime, trasparenti. I fogli scritti da mio padre, e ricopiati in bella calligrafia da Leandro con inchiostro copiativo, venivano inseriti sulla prima pagina libera del librone. Questo veniva poi collocato sotto la pressa. E, girando un apposto manubrio, la lettera manoscritta veniva compressa sulla velina del librone, lasciando la propria immagine inchiostrata sul foglio di carta velina. Era in tal modo possibile leggere poi in trasparenza, sulla velina, il manoscritto originario. Così la corrispondenza veniva conservata e poteva essere sempre conservata. Il copia-lettere, nelle mani di Leandro, era il cuore e la memoria dello studio legale di mio padre.

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Un aggeggio che attivava mani, cuore, memoria…e lo stupore di un bambino.

Ma il copia-lettere fu abbandonato e nei primi anni del ventesimo secolo cominciarono a diffondersi le macchine per scrivere. “Con le macchine per scrivere scomparvero i ‘giovani di studio’ e apparvero le stenodattilografe.”

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Mestieri che vanno, si estinguono, e altri che si formano. Cambiamenti di abilità, ma anche di modi di essere.

Giunse pure notizia che vi erano scrittori e giornalisti i quali, anzichè scrivere prima a mano, per poi far ricopiare a macchina i loro scritti, usavano direttamente la macchina per scivere, per buttar giù di getto ciò che componevano col pensiero.

Questo portò con sé conseguenze di diverso genere. Si scrisse di più e divenne difficile la conservazione della corrispondenza.”

Meno memoria e più espressione… e maggior quantità di carte da catalogare e conservare. Tanto che “A Ivrea, dagli Olivetti si costruivano anche mobili per ufficio e schedari… La macchina per scrivere era diventata il centro e l’attrezzo principale per ogni forma di attività che implicasse metter nero su bianco, e conservare poi quel nero: per ritrovarlo, riesumarlo, riprodurlo, eccetera.

Ma l’innovazione non si arresta. “Occorreva avanzare per questa strada, e non restare indietro a rischio di perire.” Nacquero le telescriventi: aggeggi per trasmettere e registrare informazioni.

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Ma alcune di queste informazioni richiedevano di essere elaborate.” Si incominciò con le calcolatrici, poi le macchine calcolatrici elettroniche e con esse l’introduzione del calcolo binario.

Fu tuttavia necessario, per così dire, reiventare tutta la matematica; e impiegare particolari individui, i programmatori, che ideavano le procedure da compiersi all’interno della macchina.

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E Leandro? “Parlando di calcolo, ci siamo completamente scordati della memoria. Leandro! Leandro! Dove sei col tuo maestoso copia-lettere? Niente paura. Tutte le operazioni che fa il calcolatore rimangono registrate, e si possono ripescare in qualsiasi momento. E inoltre lo srumento matematico è applicabile a qualsiasi tipo di problema. Per cui il calcolatore non è più un calcolatore soltanto, né soltanto una memoria, ma un eleboratore di dati, sempre suscettibile di venir controllato.

Calcolatori, per certi aspetti, sempre più autonomi dalla mente umana che, con il fenomeno della robotizzazione, finiscono con l’essere “umanizzati” quasi fossero esseri intelligenti autonomi. “Robot è una parola slava che significa lavoro servile… compiono un lavoro simile a quello che può fare, al servizio altrui, un individuo addestrato... Venne così eliminato il lavoro operaio monotono, ripetitivo e inintelligente, di cui un tempo assolutamente non si poteva fare a meno.”

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Lucida e appassionata ricostruzione quella di Musatti sul progredire delle macchine e sui cambiamenti nei mestieri e nelle persone. Narrazione che si conclude con una domanda: “…ma tu sei un ottimista o un pessimista? Risponderò: ottimista senz’altro. L’ottimismo si può coltivare tenendo ben presenti i pericoli reali che purtroppo esistono. Quello che occorre è essere pronti a fronteggiarli: con quegli stessi strumenti tecnici che sviluppandosi tanto in fretta ci mettono talvolta paura.”

Era il 1984.

 

Illustrazioni: Paolo Cardoni

Supplemento al numero 6 di Genius – I mensili dell’Espresso